Approvata 45 anni fa, la legge 194/1978 è stata una conquista fondamentale per la vita civile e sociale del nostro Paese, in quanto ha permesso alle donne italiane di accedere all’aborto sicuro, liberandole dalla piaga della clandestinità. Da sempre la legge è stata oggetto di innumerevoli attacchi che hanno inquinato il dibattito al riguardo, e hanno favorito l’idea che la 194/78 non vada affatto toccata e che anche il solo parlarne possa aprire la strada a interventi restrittivi. In questi 45 anni la contrarietà sociale all’aborto è però nettamente diminuita sia per la crescita di una coscienza civile favorevole all’autonomia delle donne, sia perché la procedura farmacologica ha contribuito al riconoscimento dello stretto intreccio tra salute e diritti riproduttivi. In questa linea da tempo l’Onu sta lavorando per includere tra i diritti umani anche il diritto all’aborto. Nel mondo diversi Stati (California, Michigan, Vermont, etc.) hanno posto il diritto di aborto in Costituzione e in Europa, dopo essere stata autorevolmente proposta nel 2022 dal Presidente di turno all’EU Emmanuel Macron, già si sta procedendo per inserire il diritto di aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Anche in Italia sul tema si riscontra un significativo cambiamento, tanto che anche forze tradizionalmente antiabortiste oggi sostengono di non voler affatto restringere le tutele garantite dalla legge 194/78. In questo rinnovato contesto storico in cui quanto previsto dalla legge 194/78 è ormai un dato acquisito e imprescindibile, è necessario riprendere il dibattito sul diritto d’aborto in generale e riflettere nello specifico se il punto di equilibrio tra le diverse esigenze in campo raggiunto dalla legge 194/78 sia oggi ancora valido e risponda davvero alle richieste di salute riproduttiva e di autodeterminazione delle donne, o se, invece, la sempre maggiore autonomia diffusa non richieda opportune modifiche alla Legge al fine di allargare i diritti riproduttivi e eliminare gli ostacoli all’accesso all’aborto così da garantire un più elevato livello di salute e di libertà: in una parola, una crescita di civiltà. 

 

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