La legge 194 del 1978 raccomanda “la promozione delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza” (art. 15). L’aborto farmacologico è sicuro ed è considerato il metodo di scelta per le IVG nelle prime settimane di gravidanza da tutte le più importanti linee guida internazionali. In Italia è stato introdotto nel 2009 (ben 20 anni dopo la messa in commercio in Francia), anche se era già utilizzato dal 2005 in “via sperimentale”.

 

In molti Paesi del mondo le “pillole abortive” vengono dispensate in regime ambulatoriale, in strutture analoghe ai nostri consultori o addirittura dai medici di medicina generale: in Francia (ma non solo) dal 2004 esiste una rete sanitaria “medico curante-ospedale” rete finanziata con fondi pubblici che permette di effettuare una IVG farmacologica al di fuori della struttura ospedaliera. Questo dovrebbe essere possibile anche in Italia secondo quanto stabilito dalla legge 194: “Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della gravidanza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle unità socio-sanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione”. (art.8). A tutt’oggi, invece, nel nostro Paese l’interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico viene eseguita in regime di ricovero ordinario (solo in 4 regioni in regime di Day Hospital), nonostante i dati sull’IVG farmacologica riportati dal Ministero confermino che le donne che vi si sono sottoposte  hanno scelto nella stragrande maggioranza le dimissioni volontarie dall’ospedale, senza che questo abbia comportato un aumento delle complicazioni. Tali dati sono sovrapponibili a quelli riportati nel resto del mondo, dove la procedura viene eseguita per la gran parte in regime ambulatoriale.

Ci chiediamo perché dunque in Italia dobbiamo ancora occupare un letto ospedaliero quando non ve ne è necessità?

Il concetto di appropriatezza, fortemente sostenuto dalla Ministra della Salute Beatrice Lorenzin, si pone ormai al centro delle politiche sanitarie nazionali, regionali e locali costituendo la base per compiere le scelte migliori, sia per il singolo paziente che per l’intera collettività. Il ricorso inappropriato alle prestazioni rappresenta un fattore di notevole criticità, in grado di minare alle fondamenta la sostenibilità e l’equità del sistema.

In accordo con tale orientamento AMICA, Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto, ha inviato una lettera aperta alla Ministra della Salute Lorenzin richiamando la sua attenzione sulla grossolana inappropriatezza del regime di ricovero ordinario per l’interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico, un’inapropriatezza che pesa significativamente sulle casse del  nostro Sistema Sanitario Nazionale. Nella lettera si richiede alla Ministra di rendere accessibile l’interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico nei consultori familiari e nei poliambulatori, come previsto dall’articolo 8 della legge 194, o, quando necessario in regime di Day Hospital, e non, come oggi avviene nella maggior parte dei casi, in regime di ricovero ordinario.

Sostengono la nostra richiesta operatori ed esperti della sanità, politici e parlamentari, rappresentanti del mondo della cultura e della politica, associazioni.